martedì 24 febbraio 2015

La mia prefazione al libro "Una porta nel borgo" di Carmelo Stelitano



Qualche giorno fa un caro amico e collega scrittore, Carmelo Stelitano, autore di diverse raccolte di poesie e vincitore di molti concorsi letterari di poesia, mi ha chiesto di redigere l'intera raccolta e scrivere la prefazione per la sua nuova silloge: "Una porta nel borgo".
Panico. Emozione.
Mi ci sono messa anima e corpo, ma non vi dirò di più, perché tutto è scritto qui sotto, nella prefazione integrale che vi riporto. Spero che la apprezziate. Spero anche che la apprezzeranno i lettori del libro, la cui uscita è prevista in aprile e del quale curerò la presentazione.
Spero.



Marguerite Yourcenar

E’ da qui che inizia il viaggio.
Da una frase trovata per caso, rovistando tra libri usati simili a cumuli di macerie. E’ a questo che la guerra dell’ignoranza ha ridotto il mondo, un mondo un tempo ubertoso che oggi declassa la cultura alla stregua di polvere da nascondere sotto il tappeto.
Capitali di questi regni della vergogna sono proprio le biblioteche che la Yourcenar tanto ammirava, oggi relegate in strade secondarie, lontane dagli occhi di una gioventù che disprezza tutto ciò che non è immediato, ciò che non si può cliccare o tweettare.
Se ripenso alla mia adolescenza, mi è impossibile sradicarla dal fertile terreno che la biblioteca ha rappresentato per me: mi riferisco a quella di Sarzana, la città dove mi sono diplomata. Era il mio rifugio. Non avevo niente al di là dello studio, capite? Né amici – non all’inizio, almeno – né un’esistenza felice. Studiare era l’unica cosa che mi facesse sentire viva. La biblioteca era l’unico luogo in cui potevo rilassarmi, dove “mettere in pigiama la mente”, per dirla alla Stephen Littleword.
E’ per questo che, quando Carmelo mi ha messo in mano un fascio di fogli chiedendomi di scrivere la prefazione di questa raccolta di poesie, ho accettato. Perché in quel manoscritto ho ritrovato tutto ciò che gli anni mi avevano fatto perdere. Perché ci sono libri più caldi e confortevoli di qualunque pigiama.
La Alice che si è seduta quel pomeriggio alla scrivania con una tazza di tè in una mano e i fogli di Carmelo nell’altra non è la stessa che scrive oggi. E’ questa la magia dei buoni libri: mentre li leggi cambiano continuamente, ora stupendoti, ora facendoti arrabbiare, ora rallegrandoti, e alla fine ti rendi conto che quella che è cambiata davvero sei proprio tu.
Mano a mano che leggevo mi rendevo conto che non era solo la voce di Carmelo a parlarmi attraverso le pagine, ma anche la mia. La Alice del liceo gridava molto, sorrideva poco, ma non tremava mai… ed era lei a parlarmi, forte e chiaro attraverso gli anni: Alice e Carmelo, due ragazzi separati da mezzo secolo di storia, entrambi innamorati di una biblioteca, delle aule silenziose, del profumo dolce dell’inchiostro. E mi sono resa conto, con stupore, che nonostante la biblioteca di cui parlava Carmelo nel manoscritto fosse quella del mio paese (abito a Santo Stefano dai tempi della terza media), io non c’ero mai stata. Dovevo rimediare.
  Così, sono partita. Un filo di rossetto, la giacca sulle spalle e via, in macchina verso il borgo. Il manoscritto di “Una porta nel borgo” sobbalzava dolcemente sul sedile accanto a me. E’ stato nel parcheggio che ho letto le ultime pagine, quelle in cui Carmelo ha diligentemente riportato la storia della nostra chiesa. Leggendo delle confraternite cadute in rovina per aver donato ogni risparmio per la costruzione della chiesa mi sono commossa, ho sperato e gioito quando l’ultimo mattone si è seccato al sole di trecento anni fa, scrivendo la parola fine a una serie di sacrifici protrattasi per decenni.
Lì, nel parcheggio di Piazza Garibaldi, ho imparato cosa significa essere santostefanese, ma ancora mi mancava un pezzo fondamentale del puzzle: vivere Santo Stefano, dopo averne letto la storia.
Sono partita dal titolo: “Una porta nel borgo”. Ho cercato quella porta, vagando per quelli che affettuosamente Carmelo ricorda come borgo dritto e borgo storto, sentendomi più simile alla vecchia Alice di quanto non mi capitasse da anni. Da sempre la gente mi chiede se io sappia dov’è il Paese delle Meraviglie, ma solo quel mattino ho sentito la risposta stretta fra le labbra.
Ogni anfratto del borgo profumava di affumicato, di paioli di rame allineati al sole, di lavanda secca. Più camminavo, più sentivo l’anima del paese penetrare dentro di me, le poesie di Carmelo gridare dalle pagine che tenevo strette al petto. E’ una sensazione che auguro a tutti: sentire voci che sussurrano, vedere volti che sfumano all’alba come sogni notturni. Santo Stefano era deserta, ma per me, Alice nel Paese delle Meraviglie, pulsava di una vita medioevale, le donne con la cuffia bianca in testa, gli uomini in maniche di camicia seduti a cassetta sui carri trainati dai muli. Quegli odori pungenti mi hanno accompagnata fino al cuore del borgo, in quella che Carmelo chiama ancora Piazza Castello; ed ecco, alla mia sinistra, apparire la porta.
Troverai dei gradini, mi aveva detto lui. Scenderli mi ha dato una sensazione strana, come se dal quieto silenzio del borgo piombassi nella realtà rombante della Cisa. Guardando le macchine sfrecciare verso Aulla mi sono sentita fortunata: quei guidatori non avevano che un metro d’aria per strombazzare la loro rabbia, a me è bastato fare pochi passi per tornare dove tutto è pace, dolce e calmo come la carezza di una madre.
E’ questo l’effetto che vi farà leggere questo libro: tornerete a casa. Vi consiglio di farlo come ho fatto io, con calma, bevendo un buon tè, magari facendo una passeggiata su in paese. Forse mi imiterete e rimarrete un po’ qui, o forse no. Forse vi accorgerete che la biblioteca è aperta, come me, e allora vi farete coraggio ed entrerete… o, forse, no.
Non esiste un modo giusto per leggere delle poesie. Ma se vi chiuderete la porta della biblioteca alle spalle, se vi chinerete a sfiorare la copertina di un libro o due, allora scoprirete che il punto di arrivo è a un soffio da quello di partenza. Tutto sarà ciclico, ritmico e naturale come il battito del vostro cuore.
A voi, così come Carmelo ha fatto con me, lascio in dono la primavera di queste pagine. Mai l’inverno dello spirito paventato da Marguerite Yourcenar è stato più distante.

Alice Bassi






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