venerdì 27 marzo 2015

Uomini e topi di John Steinbeck




Sono qui!
Sono quiiiiiiiii!
Ehm. Sì, sono mancata per qualche giorno: il lavoro, il lavoro, il lavoro... ho già detto il lavoro?, e poi altre trentordicimila cose. Ora che avete ben chiari nei dettagli i mille motivi che mi hanno tenuta lontana dal blog (?), passiamo alla recensione: Uomini e topi. Pensate che è una barba? Una recensione di un classico, ommioddio, clicchiamo la X rossa prima che ci contagi?
Beh, vi sbagliate.

Punto primo, perché è Steinbeck.
Punto secondo, perché è Steinbeck.

Tutto è iniziato qualche mese fa, quando, documentandomi per il nuovo romanzo, incappai in una falla nella trama. Oddio, non proprio una falla... diciamo una enorm PICCOLISSIMA voragine. Per motivi che non posso spiegarvi pena fucilazione punitiva della SIAE, mi sono ritrovata a spulciare l'elenco degli scrittori del primo quarantennio del novecento. Ero sul punto di annegare fra una Woolf e un Moravia quando, all'improvviso, eccolo: John Steinbeck, padre della letteratura americana che, grazie alla traduzione dei suoi romanzi a opera di Cesare Pavese, influenzò così grandemente i giovani italiani e la cultura post trentennio fascista.
Un po' preoccupata - non ho mai amato molto lo stile di scrittura dei classici in generale e so che non andrò in Paradiso per questo - ho provato a leggere la sua opera magna, Furore... e me ne sono innamorata. Follemente e per sempre.


Uomini e topi è un'altra delle celebri opere di Steinbeck. Scritto nel 1937, questo romanzo breve mette in scena pochi giorni della storia di due personaggi molto diversi fra loro, eppure inseparabili: George Milton, mezzadro svelto di lingua e di cervello, e Lennie Small, un ragazzone ritardato che non vorrebbe mai far male a nessuno, ma che a causa della sua totale e spiazzante innocenza, in abbinamento con una forza fisica letale, continua a uccidere tutto ciò che tocca: topi, cagnolini, ragazze. Non si accorge delle sue malefatte e ogni volta, di fronte al fatto compiuto, reagisce con orrore e disperazione, il tipo di sentimento che proverebbe un bambino nell'aver compiuto l'ennesima marachella e sa che le prenderà dai grandi - o da George, nel caso di Lennie.

Non che George sia un tipo manesco: fa di tutto per non abbandonare mai Lennie, per dirgli cosa fare e quando farlo, ma spesso perde il lavoro a causa sua e questo lo fa imbestialire. Non c'è niente di più bello che un pezzetto di terra, si capisce; e il sogno di ogni mezzadro della California, dopo aver trascorso una vita a zappare la terra di altri e raccogliere frutti per i proprietari terrieri, è mettere da parte abbastanza soldi da comprarsi un pezzo di terra e costruirci la propria casa. E' proprio questo il leitmotiv del romanzo: Lennie continua a chiedere a George di ripetergli come sarà quando finalmente avranno la loro casetta, i maiali, le galline e perfino i conigli. Lennie non pensa ad altro che ai conigli, a quanto sono morbidi e a come li accudirà, cogliendo l'erba medica per loro. Fa di tutto per non dare dispiacere a George, ma anche quando i due arrivano nell'ennesimo ranch, abitato da personaggi indimenticabili - Slim il capo-cavallante, Carlson, Crooks "il negro", Candy e il giovane Curley, malvagio e inviperito come una vespa sotto un bicchiere - non sono che pochi i giorni che riusciranno a trascorrere lavorando, prima che il male torni a bussare alla loro porta...

Da leggere. Da leggerissimo, ve lo posso assicurare. Non solo per il suo stile di scrittura asciutto ma pittoresco, leggero, scorrevole, ma anche per l'incredibile bravura di Steinbeck nel dipingere i personaggi con pochi tratti: tre righe e un personaggio è fatto, una figura nera stagliata contro il cielo. E pensare che, a rifletterci bene, non sono nemmeno le persone i personaggi più importanti del libro: sì, perché se da un lato abbiamo George e Lennie, due uomini che vagabondano insieme in un mondo ormai tanto carente di affetto per il prossimo, due diamanti grezzi alla deriva, dall'altro ci sono gli animali che Lennie - e non solo lui - uccide: i topi, soprattutto, ma anche il cane di Candy, vecchio e cieco ma innocente, come Lennie, per non parlare dei cagnolini più giovani e di quelli, immaginari, di cui George riempie la casetta immaginaria del futuro: i conigli diventano non solo un sogno a occhi aperti o una gustosa prospettiva per il pranzo domenicale del futuro dei due amici, ma un vero e proprio simbolo di un'età dell'oro che non è più da ricercarsi in un'epoca passata, bensì in una che deve ancora venire. Non che Candy, Carlson, Crooks e Slim abbiano dubbi in merito: hanno visto centinaia di uomini venire al ranch col sogno di un pezzetto di terra di proprietà e altrettanti ne hanno visti andare, con un mese o due di paga in tasca da affogare in qualche casa di prostitute, nell'alcol e nel gioco. "Tutti uguali sono gli uomini", ripetono sovente. Tutti, tranne Lennie, che è un puro di cuore... forse troppo per sopravvivere in un mondo amaro, fatto di polvere, ferri di cavallo e mogli infedeli, come la ragazza sposata con Curley, che non fa altro che ronzare intorno ai mezzadri... specialmente a Lennie.

Uomini e topi, un romanzo imprescindibile. Poche pagine, pochi giorni, tanto significato. Stanotte piangevo mentre lo finivo... e, se lo acquisterete, se vi lascerete trasportare in questo mondo di terra e sacchi d'orzo e schiene spaccate per undici e più ore al giorno, capirete il perché.

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