lunedì 28 maggio 2018

Nel salotto dello scrittore: scrittori inglesi e irlandesi (parte 2)

Buonasera! :)
Con un po' di anticipo sull'orario, eccoci a un nuovo appuntamento della rubrica "Nel salotto dello scrittore". Come vi avevamo promesso la volta scorsa, con oggi terminiamo la carrellata di scrittori inglesi e affini; ma, come si suol dire, non per forza gli ultimi sono tali anche in fatto di notorietà. Oggi esploreremo le dimore di Jane Austen, Virginia Woolf, Agatha Christie e... beh, non posso dirvi di più. Non vi resta che scorrere con il mouse e scoprire da voi i tesori nascosti di questi luoghi.

Buona lettura! ;)

Agatha Cristie



La casa, situata in riva al fiume Dart, risale al 1700. La Christie la comprò insieme al marito nel 1938 e qui vi abitarono insieme fino alla loro morte. Molti gialli dell'autrice furono ambientati proprio nella villa o nei giardini. E' possibile visitare la casa anche arrivando con il treno a vapore da Paington.

Curiosità: la regina del giallo utilizzava la sua casa, nel Devon, nel sudovest del Regno Unito, come set dove sfidare la sua famiglia a indovinare l’assassino dei suoi libri.


Dylan Thomas



Si trova nella Contea di Carmarthen, a Laugharne, la "casa galleggiante" del poeta, il quale si trasferì qui nel 1949. Era la casa da sogno sia per lui, sia per sua moglie. La vista che si gode dalla scrivania di Thomas ispirò molte delle sue poesie.

Curiosità: è possibile visitare lo studiolo, ma non aspettatevi ristrutturazioni o ricostruzioni: è ancora tutto in disordine, pieno di libri aperti sparsi ovunque, pacchetti di sigarette e bozze accartocciate, proprio come quando Thomas vi lavorava all'interno.


Jane Austen


Casa Chawton, nell'Hampshire, fu la casa di famiglia della scrittrice nella prima metà del diciannovesimo secolo. Ella la amava moltissimo, nonostante per lavorare non avesse una sua stanza. Oggi, la casa è stata adibita a museo che ricrea lo stile di vita dell'epoca. Quando la Austen viveva qui, era solita prepararsi la colazione ogni giorno alle nove del mattino. Lavorava rigorosamente in salotto, sedendo a un tavolino a tre gambe, dove ultimò anche le revisioni di "Orgoglio e pregiudizio" e "Ragione e sentimento": stranamente, proprio il continuo viavai di persone la aiutava a rimanere concentrata.

Curiosità: nella cucina della casa i visitatori possono confezionare sacchetti di stoffa pini della lavanda del giardino della Austen e anche cimentarsi nella scrittura con penna e inchiostro.


Frances Hodgson Burnett



Da questo luogo, Great Maytham Hall, Kent, e dai giardini, la scrittrice trasse tutta la sua ispirazione per comporre il celeberrimo "Il giardino segreto". Si dice che un giorno, mentre passeggiava intorno alla casa, ella venne distratta da un pettirosso solitario che la portò a scoprire una porticina nascosta dall'edera in uno dei muri di mattoni. Sull'altro lato c'era un giardino del diciottesimo secolo in cui la vegetazione era ormai fuori controllo. Lei lo trasformò, traendone l'ispirazione per il suo romanzo.

Curiosità: durante il rinnovo del giardino, la Burnett piantò centinaia di rose. Per lavorare alla sua opera era solita sedere a un tavolino in un gazebo che posizionò lì lei stessa, vestendo sempre con un abito bianco.


Henry James


Lamb House, nell'East Sussex, fu l'amore della vita (parlando di edifici) di Henry James. Egli corteggiò a lungo la casa fino a quando, finalmente, nel 1898 fu messa in vendita e lui poté acquistarla e usarla come sua residenza.
L'edificio non è molto grande, ma il giardino è incantevole.

Curiosità: scrisse Henry James, riguardo la casa: "Mi sento destinato a prenderla". Dopodiché, parlò del suo romanzo ("Ritratto di signora") proprio come di una casa: "La casa della narrativa non ha una finestra sola ma un milione, e queste aperture danno tutte sulla scena umana. E hanno questa caratteristica, che ad ognuna di esse v'è una figura con un paio d' occhi [...]." Nonostante dalle finestre della Lamb House egli contemplasse lo stesso panorama dei vicini, si può pensare che Henry James avesse la facoltà di vedere "di più là dove un altro vede di meno [...]; non è dato dire dove, per un particolare paio d' occhi, la finestra non si possa aprire."


Lucy M Boston


The Manor, Heminford Grey, Contea di Cambridge: si tratta di una delle case inglesi più antiche in assoluto, con spessi muri in pietra e caratteristiche addirittura normanne. Divenne la dimora della scrittrice poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, diventando per lei - specialmente il giardino - l'ambientazione ideale per i suoi racconti per bambini, pubblicati fra il 1954 e il 1961.

Curiosità: durante la visita, nella hall vi è un grammofono dal quale esce una melodia che fa tornare indietro nel tempo. Nel giardino crescono svariate piante rare ed è anche possibile pranzarvi.


Virginia Woolf




Si trova nel Sussex la dimora di una delle più grandi scrittrici vittoriane: Monk's House, residenza di Virginia Woolf, un modesto cottage di campagna del diciassettesimo secolo. La Woolf visse qui con il marito Leonard per lunghi anni, dopo aver acquistato insieme a lui la casa nel 1919. La scrittrice amava la forma e lo spirito selvaggio del giardino, che poi divenne l'ossessione di Leonard; ossessione che gli permise di prendere una boccata d'aria dalle gravissime crisi depressive della moglie, che la portarono al suicidio nel fiume Ouse dopo aver lasciato al marito uno straziante biglietto d'addio, in cui lo ringraziava per la sua bontà, il suo amore e la felicità che solo lui aveva saputo darle.
Virginia aveva un luogo speciale in cui scriveva, in giardino, nascosto tra gli alberi. Si narra che, per lei, la sua passeggiata mattutina dalla casa alla sua "scrivania" fosse fonte di pace e ispirazione.
Oggi la casa contiene tutti gli effetti e gli scritti dell'autrice.

Curiosità: i veri fan della Woolf possono addirittura passare la notte ai margini del giardino.


Appuntamento al prossimo lunedì con gli scrittori europei! Restate sintonizzati ;)


- Alice

sabato 26 maggio 2018

Il primo amore non si scorda mai.

Oggi mi sono svegliata nostalgica. Sarà la primavera, mi sono detta. Sarà che tra meno di due settimane farò trentun anni e che mi sembra ieri quando andavo in giardino a giocare e mia mamma mi gridava di rientrare, ché il pranzo era pronto. Sarà che penso troppo.

E comunque mi è tornato alla mente un ricordo. Io che compivo sette, forse otto anni. La carta di un pacchetto regalo che mi si accartocciava tra le dita. Il libro di Zanna Bianca tra le mani. Mia zia che mi diceva di leggerlo, perché era davvero bello. Io che mi chiedevo cosa ci fosse di così bello nel ricevere un libro per il compleanno.



A ogni modo ho voluto darle una chance. Alla fine mi piacevano i libri. Quello non era certo il primo che leggevo, sono sicura che ne avessi già alcuni nella libreria dei miei genitori. Così mi sono detta: perché no? Ricordo che ero tornata a casa e avevo iniziato a sfogliarne le pagine, una dopo l'altra. Erano rigide, granulose. Profumavano di carta.

Credo sia stato allora che mi sono innamorata dei libri. E dei lupi, naturalmente.



Purtroppo, oggi non ho più quel libro. Temo sia andato smarrito in uno dei miei mille traslochi, insieme a parte della mia infanzia, ma lo ricordo ancora molto bene. E penso che ricorderò per sempre la luce negli occhi di mia zia.

Credo sia stato lui il mio primo amore. Il primo ragazzo di carta che mi sono portata a letto e che mi ha fatto provare qualcosa di bello. 







E il vostro?

Non siate timidi, raccontatemi la vostra prima volta.













- Francesca

martedì 22 maggio 2018

E voi, come scegliete un libro?

Questione di feeling.

Ed è sulla scia del singolo di Mina e Cocciante (non ho idea di come mi sia saltato in testa, lo giuro) che mi sorge una curiosità che vorrei rivolgervi.

Ma voi, quando entrate in libreria, in base a quali criteri scegliete un libro?

Vi lasciate incuriosire da una copertina accattivante? Leggete la trama e pensate che potrebbe esservi affine? Aprite il libro in un punto qualsiasi e ne provate qualche pagina?

Facciamo un salto indietro nel tempo. 

Da ragazzina mi lasciavo “intortare” dalle copertine. Solitamente se vedevo cavalieri, principesse o fate sapevo che quelli erano libri fatti su misura per me! Non chiedetemene i titoli, perché non ne ricordo nemmeno uno. Anzi, uno sì. Non rammento affatto la copertina, ma parlava di principesse e cavalieri. Si chiamava “Il principe Taliesin” e mi piaceva da matti. Ma quella era la Francesca di quindici anni fa, quella bisognosa di credere che per tutte le ragazze ci fosse un principe o un cavaliere pronto a lottare per loro. Che poi era assurdo, considerato che, solitamente, le protagoniste dei libri che sceglievo erano tutte principesse fighissime, talvolta dotate di poteri magici. Roba che, spostati Francesca, arrivano le gnocche, tu resta buona buona in un angolo e mettiti a studiare economia, che domani hai l’interrogazione e per superare quella, ahimè, non basta la magia.



Insomma, sicuramente rispetto a oggi ero molto più superficiale, almeno per quello che riguardava la scelta di un libro. Poi ho iniziato ad applicare il consiglio di mio cugino, accanito lettore, ovvero: quando scegli un libro, aprilo a caso e leggine qualche pagina. Se ti piace, allora compralo. Se ti annoia, lascia perdere.
Così, per gli anni a venire, tutte le volte che entravo in libreria sceglievo un libro o due (per le copertine), li aprivo e ne studiavo qualche paragrafo. A volte li portavo a casa — più per non uscire perennemente a mani vuote che per altro — ma spesso, molto spesso li lasciavo sugli scaffali. 

Per anni non ho letto nulla e lo dico con vergogna. Non c’era niente che mi piacesse, niente che stuzzicasse la mia curiosità. Credevo di far parte di quella categoria di persone che non ha bisogno di leggere. Eppure VOLEVO farlo. 

Con gli anni l’entusiasmo è diminuito e ho iniziato a fare affidamento sugli altri.

Un amico mi consigliava un libro? Io lo leggevo. Non importava la trama. Lo facevo e basta, anche se spesso lo lasciavo a metà perché non mi interessava abbastanza. E qui si tocca un tasto dolente. Sì, perché forse il mio problema non è solo il fatto di non saper scegliere un buon libro, quanto quello di essere estremamente CRITICA. Faccio molta fatica ad approcciarmi con i personaggi, specie quando sono ragazze perfette e bellissime.In quel caso le odio, ma le odio proprio di cuore. Non riesco a empatizzare con un personaggio che mi sembra alieno. Datemi una protagonista con qualche difetto, per l’amor di dio, una che abbia un filo di pancia o che sembri un maschiaccio. Una che possa sbagliare e non una di quelle che, qualsiasi cosa dica, tutti le sbavino dietro. Datemi una protagonista che possa sembrare REALE, diamine!





Aehm, sì, scusate.


Tornando alla domanda iniziale. Attualmente quando scelgo un libro lo faccio leggendone l’incipit. Se quello non mi coinvolge, se lo trovo troppo dispersivo o eccessivamente carico di dettagli, chiudo il libro. E badate che quando leggo l’incipit non ho assolutamente idea di quale sia la storia. L’incipit è la prima cosa che guardo, dico sul serio. Posso sorvolare sulla trama — a volte — ma non posso e non voglio sorvolare sullo stile.
Se l’incipit mi piace, apro il libro in un punto a caso e ne leggo qualche paragrafo. Solo allora mi informo circa la storia.

Capirete anche da soli che l’80% delle volte torno a casa a mani vuote. Sì, un po’ è anche per tirchieria, ma soprattutto per insoddisfazione dei miei parametri di ricerca.


Quindi mi dico: forse sei tu che sbagli, Francesca. Forse è esagerato scegliere in base a un incipit. Voglio dire, hai aperto il libro in una pagina a caso. Hai letto qualche riga, non ti è piaciuta, e l’hai richiuso. Ma perché, nel tuo libro non ci sono pezzi che ti piacciono di meno rispetto agli altri? Non pensi che il tuo modo di fare sia esagerato? Forse dovresti fare le cose di pancia. O di cuore. O per la quarta di copertina, o qualche altro fattore.


Nel dubbio, torno a leggere Christine. 






E voi come scegliete un libro? Vi affidate all’istinto, leggete qualche riga oppure spulciate ogni tipo di recensione prima di procedere all’acquisto?

- Francesca

lunedì 21 maggio 2018

Nel salotto dello scrittore: scrittori inglesi e irlandesi (parte 1)

Ma salve! :)
L'appuntamento della rubrica "Nel salotto dello scrittore" di questo lunedì vi condurrà, come vi avevamo promesso la scorsa volta, un po' più lontani da casa. Nelle precedenti puntate ci siamo dedicate alle dimore di alcuni dei più celebri poeti e scrittori italiani; questa volta, invece, vi mostreremo le meraviglie e i segreti di una rosa scelta fra nomi di autori inglesi e irlandesi. Ci auguriamo che la magia selvaggia della brughiera brulla e percossa dai venti, dei quieti fiumi e delle vivaci quotidianità cittadine vi sedurrà, come ha sedotto noi.
Buona lettura! ;)

John Keats


Il noto poeta inglese del Romanticismo visse in affitto a Wentworth Place, a Hampstead, per cinque sterline al mese (al cambio odierno si tratta di circa 250 sterline mensili). La sua vita cambiò quando, nel 1819, Mrs Brawne, una vedova con tre figli, si trasferì nell'appartamento accanto: i due si innamorarono immediatamente.
La sua casa-museo è visitabile ed è piena di manoscritti, quadri ed effetti personali del poeta. Vi è anche un bel giardino.

Curiosità: è possibile visitare anche le antiche cucine e cantine di Keats, inoltre nei tour è consentito sedere sui suoi divanetti ascoltando, tramite cuffie, le sue poesie più note.

Oscar Wilde 

 


A Dublino, al numero 1 di Marrion Square, si trova la casa dove trascorse la sua infanzia Oscar Wilde. L’American College Dublin entrò in possesso dell’immobile, costruito in stile georgiano, nel 1994 e grazie alla donazione di una coppia d’americani fu possibile la ristrutturazione. A oggi, la fu abitazione è aperta al pubblico.

Curiosità: la particolarissima statua di Oscar Wilde si trova nell’angolo nord-ovest di Marrion Square, all’interno di un delizioso parco dove regnano quiete e tranquillità. Gli occhi della statua guardano la casa dello scrittore. Lì davanti vi sono anche due colonne con citazioni tratte dalle sue opere.

George Eliot (Mary Anne Evans)


La scrittrice, la quale per poter pubblicare le sue opere dovette usare uno pseudonimo maschile, trasse sempre grande ispirazione dalla splendida casa di famiglia, situata vicino ad Arbury Hall, nei pressi di Birmingham.

Curiosità: la scrittrice era affascinata soprattutto dall'architettura gotica della magione, elemento che le diede l'idea per scrivere Middlemarch, il suo romanzo più celebre.

Sorelle Brontë


Haworth rappresenta le Brontës; le Brontës rappresentano Haworth” scriveva Virginia Woolf in merito alla casa a Haworth, dove le tre sorelle, Charlotte, Emily e Anne, scrissero i loro capolavori - Jane Eyre, Cime Tempestose e Agnes Grey - e tutte le loro opere. La dimora era immersa nella brughiera, il suggestivo paesaggio che fa da cornice ai romanzi delle sorelle, che qui vissero quasi in isolamento. Oggi, la casa è stata trasformata in un museo dove respirare il modo in cui le sorelle vivevano all'epoca: tutto è ricostruito come se le donne le avessero appena lasciate. Vengono organizzati anche delle brevi, ma splendide escursioni sulla collina dietro la canonica, Peninstone Hill. A ridosso della casa vi è anche un cimitero.

Curiosità: molto commovente la vista, all'interno della casa, del divano su cui Emily, malata di tubercolosi, si lasciò morire per raggiungere il fratello. Emily scrisse un unico romanzo, Cime Tempestose, che poté pubblicare solo utilizzando lo pseudonimo maschile Ellis Bell, nel 1847.

Lord Byron


A dieci anni, Byron aveva già ereditato una villa monumentale: Newstead Abbey, nella Contea di Nottingham, Inghilterra. Anche da adulto fu molto ricco e usò la magione non solo per il lavoro, ma anche e soprattutto per organizzare grandi feste: si narra, addirittura, che la usasse per tirare a segno con le pistole e detenere un orso selvaggio e un lupo dentro casa. Ciascuno dei vastissimi giardini rappresenta un "unicum": ognuno, cioè, è d'ispirazione spagnola, o francese, o tipicamente settecentesca. Passeggiare qui rimette in sesto l'anima: vi sono ruscelli piccole cascate, frutteti, fiori di varietà rare, perfino un lago abitato da cigni e aironi.

Curiosità: Byron possedeva un cane di razza Terranova di nome Boatswain, che morì di rabbia nel 1808. Nei giardini dell'Abbazia si può ancora oggi visitare la sua tomba, che è ancora più grande di quella dello scrittore. L'iscrizione, dal poema scritto da Byron Epitaffio a un cane, è diventata uno dei suoi lavori più conosciuti:

"Near this Spot
Are deposited the Remains
of one
Who possessed Beauty
Without Vanity,
Strength without Insolence,
Courage without Ferosity,
And all the Virtues of Man
without his Vices.
This Praise, which would be unmeaning flattery
If inscribed over Human Ashes,
Is but a just tribute to the Memory of
"Boatswain," a Dog
Who was born at Newfoundland,
May, 1803,
And died at Newstead Abbey
Nov. 18, 1808."

Appuntamento al prossimo lunedì con la seconda parte degli autori di origine inglese e/o affine! :)


- Alice

venerdì 18 maggio 2018

The Junkie Quatrain (Gli infetti di Baugh) - Peter Clines



"Sei mesi prima il mondo era finito."

Questo libro, edito dalla Casa Editrice indipendente Dunwich, di cui non smetterò mai di parlarvi strabene, ha avuto una storia travagliata, in casa mia. Prima di tutto, perché non è iniziata a casa mia. Ma andiamo con ordine.

Tutto iniziò un paio di anni fa, quando andai a trovare un'amica (ti prego, fa' che non stia leggendo, così non sarò costretta a restituirle questa figata) a Torino. Questa ragazza, che peraltro è una blogger assai famosa (stima e adorazione), ascoltò con pazienza tutte le mie lagne sul fatto che dopo La strada di McCarthy non trovavo più niente che mi soddisfacesse, per poi frugare nella sua libreria e tirare fuori questo titolo.
Questo ti piacerà, Aly. Vedrai.
Tu dici?
Provalo. Male che vada, me lo restituisci.
Il fatto è che io non lo provai. Non subito, almeno. Come ho già detto in questo post, dove vi ho parlato di un altro libro che mi è piaciuto un sacco sempre edito da Dunwich, io non sono il tipo che va a letto con un libro al primo appuntamento. Prima ho bisogno di lasciarmene sedurre, annusare l'odore delle sue pagine, addormentarmi guardandolo sul comodino mentre il desiderio, notte dopo notte, brucia fino a divorarmi.
Con The Junkie Quatrain - Gli infetti di Baugh di Peter Clines, però, non c'è stata alcuna seduzione, perlomeno all'inizio. Il che è assurdo, se si pensa che parla esattamente della mia passione, e cioè mondi postapocalittici e distrutti a causa di un'epidemia planetaria. Eppure, la scintilla non è scattata. Nada. Zero. Tutto moscio e morto fino alle radici.

Poi, un paio di giorni fa, questo libro - che mi ero totalmente dimenticata di possedere - è saltato fuori dall'armadio e, non so perché, aveva una luce completamente diversa. Forse si era rifatto la copertina; forse, la costa. Non saprei. Fatto sta che, questa volta, il suo aspetto mi ha conquistata al primo sguardo. E così, quella sera, ho iniziato a leggerlo.

Il libro parte con la frase che vi ho citato all'inizio: "Sei mesi prima il mondo era finito." Una volta letta quella, è chiaro, bisogna per forza andare alla seconda riga. E poi alla terza, alla quarta, alla quinta, perché Peter Clines, autore anche di altri grandi successi, come la saga Ex-heroes e il thriller/horror/mystery 14, vi renderà impossibile fermarvi, accompagnandovi pagina dopo pagina nel suo universo distopico, folle e popolato da esseri selvaggi: i sopravvissuti.
Sì, perché se gli infetti di Baugh sono effettivamente dei rabbiosi/zombie rivisti, un po' 28 giorni dopo, un po' The Walking Dead e giusto una spruzzata di Resident Evil, leggendo vi renderete conto che non sono loro i veri mostri che popolano la Terra dopo l'epidemia che sei mesi prima, dopo essere scoppiata in Cina per un caso - sembra - inspiegabile, è dilagata in India e poi in tutto il mondo, causando, solo negli Stati Uniti, qualcosa come novantadue milioni di morti.

Tutto ha inizio con il primo racconto della quartina (quatrain, appunto), in cui Holly, una donna magra, inselvatichita dalla solitudine e dall'aver perso tutti quelli che ama, si ritrova a fare i conti con branchi di tossici (junkies, in inglese; così sono stati definiti gli infetti, a causa del modo in cui biascicano e tremano, come se fossero in crisi di astinenza, per via degli effetti del virus) la conoscenza di Angie, anch'ella sopravvissuta all'epidemia. Ma ben presto Angie si rivela qualcosa di diverso da una ragazza dolce e dall'aspetto innocuo e burroso, così come Holly, la quale nasconde ben due segreti: uno, sotto le pieghe dei vestiti; l'altro, tra quelle del suo cuore.
Da qui, senza farvi troppi spoiler, la storia si interrompe per venire ripresa nel secondo e terzo racconto, in un modo che, da avida lettrice, ho trovato estremamente innovativo: nelle raccolte di racconti, infatti, in genere assistiamo o a tante storie separate che non dialogano tra loro ma condividono il genere letterario (tutti racconti horror, o fantascientifico, eccetera), oppure a delle storie che non si intrecciano, ma condividono il genere e l'ambientazione di fondo. E' il caso dei racconti di Asimov, ad esempio, come in Io, robot: l'ambientazione fantascientifica e la premessa (i robot e le tre leggi a cui devono obbedire) sono le stesse in tutti i racconti, che parlano però di personaggi diversi, che vivono in case differenti e hanno a che fare con robot ribelli che non si conoscono tra loro.

Qui, invece, assistiamo a una trama completamente diversa: il libro è trattato come se fosse un a raccolta di racconti, ma in realtà si tratta di un romanzo. Vi faccio un esempio per farvi capire meglio.
Nel primo racconto, le protagoniste sono Holly e Angie. Le due si ritrovano ad affrontare un branco di tossici, poi degli altri sopravvissuti, armati fino ai denti, che faranno loro determinate cose. Verso la fine, una delle due incontrerà un altro personaggio, di nome Sam, e il racconto si concluderà con un finale aperto. Fin qui, nulla di strano.

Ma il secondo racconto non proseguirà dal punto di vista di Sam, o di Holly, o di Angie, o di chiunque altro; ciò che avviene è un salto indietro nel tempo, un po' alla NCIS. Avete presente, quando gli sceneggiatori ci fanno vedere una scena futura con un brevissimo fotogramma in flash forward, e poi partono un po' più indietro nella storia fino ad arrivare al verificarsi di quella scena? Ecco, qui succede la stessa cosa.
Nel secondo racconto, i protagonisti sono gli altri sopravvissuti incontrati da Holly e Angie; per cui sì, vedremo il confronto fra loro e le due donne, ma la storia inizia un po' prima, quando il gruppo ancora non sapeva che avrebbe incontrato Holly e la sua compagna di viaggio lungo la strada. Non solo: il racconto prosegue dopo che il gruppo ha lasciato le due donne, raccontando il loro viaggio attraverso una Hollywood distrutta e il motivo per cui si stanno muovendo verso un certo edificio ai confini della città. Cosa succede in questo racconto? Beh, non ve lo dico, per evitarvi spoiler, ma una cosa posso spifferarvela: verso la fine, il gruppo viene aggredito da un altro personaggio ignoto, chiudendosi ancora con un finale aperto.
La terza storia farà la stessa cosa della seconda, ma da un punto di vista ancora più esterno: il protagonista sarà Sam, l'uomo incontrato da una delle due donne alla fine del primo racconto. Il suo plot inizia parecchie ore prima e, lasciate che ve lo dica, quello che gli succede è veramente, ma veramente fico. Perché qui si spiegano non solo i motivi che hanno scatenato l'epidemia, ma se ne conoscono anche i responsabili... fino a quando, dopo l'ennesimo finale aperto, non giungiamo al quarto racconto, dove il protagonista è, sempre partendo un po' indietro, l'aggressore del gruppo di sopravvissuti che abbiamo lasciato a Hollywood. Un altro assassino, come gli infetti. Un altro - e, forse, il peggiore - colpevole.

Spero che siate riusciti a seguirmi, perché, credetemi, questo libro è veramente una bomba. Di certo ci sono dei piccoli luoghi comuni, ma io sono dell'opinione che, nella letteratura di genere, degli elementi già visti - se ben trattati e descritti con un pizzico di originalità, che qui non manca - ci vogliano, per far sentire "a casa" il lettore e farlo calare nella storia con maggior comodità. Specialmente con una struttura così particolare, che però, ve lo posso assicurare, a leggerla non risulta affatto complessa, né fastidiosa o pesante. Anzi, i racconti filano che è un piacere, portandovi verso... un finale aperto? Un finale chiuso? Nessun finale?
Beh, non sarò certo io a dirvelo.
Ciò che posso fare è consigliarvi il libro a pieni voti. Per quanto riguarda me, ne sono rimasta così folgorata che, proprio ieri, ho acquistato anche 14,  al quale facevo la posta già da un po'. Dio, quanto non vedo l'ora di leggerlo.

Bene, e con questo, per oggi, è tutto. Fatemi sapere nei commenti se avete letto questo libro e se vi è piaciuto. Dal canto mio, ho già una mezza idea di rileggerlo. A pensarci bene, in fondo, forse la vera tossica - quella che trema e sbava già, in preda all'astinenza - sono io.


- Alice

martedì 15 maggio 2018

Salone del Libro 2018, pareri e acquisti

Toc toc e bentrovati, qui è Francesca che parla!

Innanzitutto scusateci per l’assenza degli ultimi giorni, ma Alice e io abbiamo fatto una toccata e fuga a Torino per cui ci è stato impossibile riuscire ad aggiornare il blog. Sappiate che questo post sarà un po’ diverso dal solito, perché verrà scritto a quattro mani ;)


Alice e io
Da dove partire?
Beh… una cosa è certa: il prossimo anno ho intenzione di fare le cose con moooolta più calma. Perché? Ve lo dico subito.
Praticamente, per esigenze famigliari sono stata costretta a raggiungere la mia socia solo venerdì sera, dopo quattro ore di viaggio in bus, senza mp3 né piccoli snack da sgranocchiare :’-( Quindi il nostro Salone del Libro, ahimè, si è ridotto essenzialmente a una sola mattina di visita e, se consideriamo l’apertura alle 10, la coda per il controllo zaini e il generale smarrimento all’interno degli stand, praticamente abbiamo avuto solo un’ora e mezza per gironzolare tra i vari espositori. 


Ma andiamo per gradi!

Una delle prime cose che abbiamo fatto, non appena entrate, è stato 
(andare in bagno)
correre come delle disperate per andare alla conferenza della Gainsworth publishing, “Mostri in ritardo”. In quel caso i mostri in ritardo eravamo noi, però siamo riuscite ad arrivare giusto in tempo per sentire almeno la metà della discussione. L'incontro, davvero stimolante, trattava la tematica dell'urban fantasy e dei motivi per cui in Italia, a differenza di altri paesi stranieri, questo genere sia pressoché sconosciuto. Sicuramente uno spunto interessante di riflessione su cui avremo comunque modo di discutere più avanti.

Mostri in ritardo, Gainsworth Publishing

(Giuro che la prossima volta pernotto a Lingotto per quattro giorni, così ci piazzo la tenda negli stand!)
Ehm, dicevo... sì, lì abbiamo incontrato la nostra amica, Erica, nonché La Leggivendola. Diciamo che senza di lei che ci guidava attraverso i padiglioni, probabilmente, ne avremmo visti la metà. Dunque, Eri, se sei in ascolto, grazie di cuore! È stato fantastico rivederti e sappi che ti stimo moltissimo per l'impegno e l'amore che metti nel tuo lavoro <3

Prima di parlare dei miei acquisti, e lasciare il post alla mia socia, volevo spendere giusto due parole a favore di due Case Editrici indipendenti che mi sono piaciute un sacco (dalle quali, fra l’altro, poi mi sono rifornita).

La prima è la DarkZone. Tratta essenzialmente urban fantasy, fantasy epico, thriller, horror e romance, quindi, essendo i generi che mi intrippano di più, è chiaro che non appena l’ho vista mi ci sono gettata sopra con la foga di una ragazza a dieta da ben tre ore che si vede servire una fetta di pizza farcita!
Il primo impatto è stato sicuramente positivo; bellissime copertine e un sacco di scrittori che si sbracciavano dallo stand per spiegare le trame dei loro libri agli acquirenti. Davvero adorabile!
A volte si pensa a una Casa Editrice come a un luogo oscuro, qualcosa di impalpabile che non si potrà mai conoscere per davvero – soprattutto per via del fatto che, talvolta, può essere difficile reperirle nelle librerie di catena. Bene, ragazzi, mi sono dovuta ricredere. L’entusiasmo degli scrittori e l’amore con cui mi hanno letteralmente sobbarcata di informazioni è stato qualcosa di avvolgente che sicuramente ricorderò. Sappiate che se avessi avuto a disposizione più liquidità (e meno senso di parsimonia) non mi sarei limitata ad acquistare solo due libri, ma vi avrei saccheggiati. Quindi bravi, bravi e bravi! Continuate a mettere questo entusiasmo nel vostro lavoro!

Un’altra Casa Editrice indipendente che avevo adocchiato già da tempo on line, è La Ruota Edizioni. Anche in questo caso sono rimasta piacevolmente colpita dall’estrema gentilezza degli Editori e dalla cura che mettono nei loro progetti. Spero di poterli ritrovare, il prossimo anno, e poter trascorrere più tempo al loro stand, spulciacchiando i vari titoli con più tranquillità.

Detto questo, veniamo ai fatti!
Voi ancora non mi conoscete, ma vedrete che con il tempo imparerete una cosa: sono tirchia. Ma tirchia male, eh. Quindi, se speravo di tornare a casa con lo zainetto pieno di libri, in realtà ho fatto ritorno solo con tre titoli ^__^’




Lacrime di cera”, di Liliana Marchesi. (DarkZone)

Distopia ambientata in Russia. Camille, una ragazza cresciuta all’interno di un palazzo, tra menzogne e inganni, scopre che al di là delle mura che la circondano esiste un mondo di cui tutti negano l’esistenza. Con l’aiuto di Lui, un ragazzo che, come lei, desidera andarsene dal palazzo e vendicarsi dei Sovrani che lo manovrano, riuscirà a fuggire, scoprendo la realtà che la circonda.
Un libro veloce da leggere, adatto a chi cerca una storia d’amore in un’ambientazione fantascientifica. Iniziato ieri e finito oggi.

Mai più senza”, di Giuseppe Calzi. (DarkZone)

Horror. Per ora non posso sbottonarmi, sono alle prime pagine. Tuttavia, lo stile mi piace. Sono certa che sarà una bella sorpresa!

Mabù che parla agli animali”, di Monica Giuffrida. (La Ruota Edizioni)




Racconti per l’infanzia. Mabù è un bimbo speciale che conosce la lingua degli animali, ma sogna di essere come tutti gli altri bambini. 

Vi dico solo che alla fine del libro sono comprese alcune pagine da colorare… una bel pensiero per i bambini! (Il mio le ha già colorate tutte XD)





Bene, con questo è tutto, passo la parola alla mia socia U__U


Sì. Eccomi. Prova, prova.
Ok, se mi sentite tutti, posso procedere. Diciamo che sottoscrivo tutto quello che ha detto Francesca: quest’anno il Salone è stato davvero una faticaccia, vissuto male e troppo di fretta, ma comunque interessante e ricco di lati positivi. Uno di questi è il fatto che, nonostante io sia riuscita a visitare solo pochi stand, questi fossero stracolmi di spunti di lettura. E, quando dico stracolmi, intendo straripanti di chicche letterarie che, da brava spendacciona quale sono (meno male che ci sei tu, Francesca, a compensarmi!), non potevo assolutamente lasciare lì. Si capisce. Quindi, ecco il disastro che ho combinato:





Male, eh? Malissimo. O benissimo, a seconda dei punti di vista. E sì, accanto ai libri c'è anche la bacchetta magica di Bellatrix Lestrange che cercavo da un sacco di tempo. Preferirei non parlarne.
In ogni caso, ecco, per i ciecati come me, l’elenco dei titoli che ho acquistato:

  • Stephen Chbosky, “Noi siamo infinito – Ragazzo da parete” (Pickwick)
  • Joe R. Lansdale, “La trilogia del drive-in” (Einaudi)
  • Liliana Colanzi, “Il nostro mondo morto” (Gran Via)
  • Lucia Guglielminetti, “Versus” (DarkZone)
  • Marika Vangone, “Valiance – la normalità è la nuova malattia” (DarkZone)
  • Daniel Gahnertz, “Empty title space”  (La Ruota Edizioni)

Bene. Tralasciando il fatto che ora dovrò mangiare patate e cipolle per un mese (sia mai che finalmente non riesca a buttare giù peso), volevo anche dirvi una cosa molto carina: allo stand Regione Umbria ho avuto modo di conoscere una delle Editrici della Casa Editrice indipendente Jo March! Una ragazza davvero dolcissima, con una grande passione per i libri che pubblica e un sincero amore per il suo progetto editoriale. Un incontro che mi ha fatto un sacco piacere *_*

Tornando a noi e al mio disastro finanziario, parto col dirvi qualcosa di più sui miei acquisti librosi. Vi premetto che dei seguenti titoli per ora ne ho letto solamente uno, ma andiamo con ordine.

Noi siamo infinito – Ragazzo da parete”, di Stephen Chbosky

Tutti quanti lo conosciamo. Cioè, tutti tranne me, dato che io, non so perché, non ho mai provato simpatia per questo titolo. Cioè, in realtà il motivo lo so, solo che mi vergogno a dirlo. E va bene, ve lo confesso. La verità è che, come sapete, da questo libro è stato tratto, qualche anno fa, un celeberrimo film. Tutti gli adolescenti lo hanno visto. Eccetto me. Il fatto è che, all’epoca, la saga di Harry Potter era appena finita e io avevo bisogno di tenere Hermione Granger ancora un po’stretta a me, alla mia adolescenza. Non potevo sopportare che Emma Watson impersonasse altri personaggi. Non ancora.
Poi, neanche un paio di mesi fa, mi è capitato di vedere qualche scena e ho capito che quel film faceva al caso mio. Da lì, ecco la necessità di procurarmi il libro.
La storia, per chi ancora non la conoscesse, è questa: l'ingresso nelle scuole superiori lancia un adolescente per nulla ordinario in un vortice di prime volte: la prima festa, la prima rissa, il primo amore. Il primo bacio, e lei gli dice: per te sono troppo grande, però possiamo essere amici. Per compensare, Charlie trova una che non gli piace e parla troppo: a sedici anni fa il primo sesso, e non sa neanche perché. Allora lui, più portato alla riflessione che all'azione, affida emozioni, trasgressioni e turbamenti a una lunga serie di lettere indirizzate a un amico, al quale racconta ciò che vive. Dotato di un'innata gentilezza d'animo e di un dono speciale per la poesia, il ragazzo è il confidente perfetto di tutti, quello che non dimentica mai un compleanno, che non tradisce mai un segreto. Peccato che quello più grande, fosco e lontano, sia nascosto proprio dentro di lui.

 “La trilogia del drive-in”, di Joe R. Lansdale

Ok, questo titolo lo volevo tantissimo. Dovete sapere che, al momento, sto lavorando (leggi: sono bloccata MALISSIMO) al mio terzo romanzo, che è ambientato in America, lungo la Route 66.
La trama: immaginate il più grande drive-in mai esistito, l'Orbit. Siamo in Texas, è un venerdì sera e l'Orbit è stipato di gente che sgomita per popcorn e cola, pregustando la Grande Nottata Horror. Ma, sul più bello, il drive-in stesso si trasforma in un film dell'orrore: gli spettatori diventano gli involontari ed esterrefatti protagonisti di un incubo orchestrato dal mostruoso Re del Popcorn, sintesi delle peggiori conseguenze dell'ossessione al consumo. E se in "Drive-in 2" vediamo i personaggi sopravvissuti aggirarsi in un paesaggio irriconoscibile, "La notte del drive-in 3" ci catapulterà definitivamente in un microcosmo ancora più delirante, un mondo di misteriose e inclassificabili meraviglie, in cui ci si imbatte in inondazioni di proporzioni bibliche, in un pesce gatto che aspira a ingoiarsi la balena di Giona e in una schiera di creature oscure, di una malvagità paragonabile solo a quella dell'essere umano al suo peggio.
Ok, letto così sembra un trip sotto pasticche, ma ci scommetto il cappello che è una figata.

Il nostro mondo morto”, di Liliana Colanzi

Questo è stato il primo libro che ho comprato in fiera, su consiglio dell’Editore. Tra l’altro, mi vergogno un po’ ad ammettere che, prima del mio acquisto, avevo sentito parlare molto poco dell’Editore Gran Via. Un vero peccato, perché oltre a essere gentilissime le ragazze mi hanno anche illustrato il loro progetto editoriale, volto a scoprire, anno dopo anno, racconti e opere appartenenti ai paesi dell’America Latina. Alla fine ho optato per questa raccolta di racconti ricca di elementi disturbanti che, almeno sulla carta, dovrebbe piacermi un sacco. Presto vi dirò di più. Per ora, sappiate che l’autrice è boliviana e che ha vinto numerosi illustri premi sudamericani.

Versus” di Lucia Guglielminetti

Primo dei due libri editi da DarkZone che ho acquistato. Questa Casa Editrice mi ha conquistata, non mi sarei mai allontanata dal loro stand! La loro proposta editoriale mi intriga assai, specialmente la parte relativa all’horror, uno dei miei generi preferiti. “Versus”, in particolare, come mi ha spiegato l’autrice (io ho un autografo e voi no, gne gne), parla di una stalker con poteri paranormali che si mette in testa di perseguitare la sua stella del rock preferita, facendo di tutti per farlo credere pazzo. Già dalla copertina mi intriga e devo dire che non vedo veramente l’ora di immergermi in tutta questa deliziosa follia.

Valiance – la normalità è la nuova malattia” di Marika Vangone

Questo è il titolo, sempre edito da DarkZone, che, al momento, tra tutti i libri che ho preso al Salone, mi attira di più insieme ai primi due della lista. Purtroppo l’autrice non era presente allo stand, ma vi lascio comunque la trama: Aaliyah è una ragazza comune del ghetto C. Non può uscire mai di casa: ogni abitante del ghetto ha un difetto, una malattia invalidante; anche i suoi genitori sono deformi, ma non lei. Lei è normale! Diversa dal resto del suo mondo, Aaliyah cresce chiedendosi il perché di questa differenza, credendosi sbagliata. Non può parlare con nessuno perché nessuno deve vederla... non per intero, almeno. Quando i Valiance entrano nella sua vita tutto cambia. Ogni cosa assume un nuovo e inaspettato significato. Aaliyah dovrà prendere decisioni complicate e affronterà una realtà inimmaginabile.
Come mi gasa *_*

Empty title space”, di Daniel Dahnertz

Ultimo ma non ultimo, come si suol dire. In realtà, è davvero l’ultimo libro della lista, perché è stato il titolo che ho comprato praticamente lanciando i soldi al povero Editore mentre io scappavo via con la socia per non perdere il treno. Si tratta di una breve raccolta di haiku dalla metrica atipica. Devo dire che, pur avendo adorato questo Editore e la gentilezza della persona con cui ho parlato, il libro non mi è piaciuto particolarmente: letto in treno, mi sono presto resa conto che gli unici haiku degni di nota erano quelli che avevo letto di sfuggita in fiera. Quindi, se devo essere sincera, non vi consiglio l’acquisto di questo libricino, mentre non posso che parlare bene della Casa Editrice in sé, una piccola realtà in forte sviluppo alla quale auguro ogni fortuna.

Bene, con questa carrellata anche la mia parte di post è terminata. Spero che i nostri acquisti vi abbiano stuzzicati e che potranno ispirarvi a vostra volta in qualche futura scorpacciata in libreria.
E voi? Siete stati al Salone, avete comprato qualcosa?

Raccontatecelo nei commenti!